Un film indipendente, o indie, è un film prodotto senza l’intervento di una grande casa di produzione (ad esempio una delle majors di Hollywood). Può anche essere autoprodotto dal regista o coprodotto da privati, da alcuni degli attori, o da istituzioni locali (come le film commission).

Nato negli Stati Uniti come cinema alternativo al sistema delle majors hollywoodiane, approdato in Italia alla fine degli anni ’60, il cinema indipendente è una realtà vivace ma a rischio di estinzione a causa di un mercato in cui i film sono prodotti e distribuiti secondo rigide logiche commerciali: a chi non si adatta viene concessa sempre meno visibilità. Insomma, uno spazio culturale da salvaguardare, come le piccole librerie e la musica indie.

Chi controlla la distribuzione controlla il mercato. La regola vale per supermercati e per libri, musica e film. Eppure la voglia di sperimentazione e di cultura sopravvive a dispetto delle logiche economiche.

La scena indipendente italiana resta in vita grazie a produttori che adottano sistemi di autofinanziamento e strutture di produzione leggere, distributori collegati a circuiti cinematografici d’essai, registi per cui il cinema resta prima di tutto una forma d’arte, occasione di ricerca e riflessione. Sono questi, in linea generale, i tratti comuni dei “veri” film indipendenti e di quelle pellicole pensate come progetto culturale e non come semplice prodotto da immettere sul mercato.

Nella realtà cinematografica italiana, i film indipendenti corrispondono a circa il 15 % della produzione totale.

Ogni progetto è un’avventura economica ed artistica a tappe forzate: si parte da una sceneggiatura, si stabilisce un costo, si tenta di produrre il film, si cerca qualcuno disposto a distribuirlo. Spesso l’avventura assume le sembianze di una vera e propria corsa ad ostacoli. Tra i più difficili da superare è la ricerca dei finanziamenti e la vendita del film ad un distributore che lo porti nelle sale. Ma produttori, registi e distributori indipendenti sono stati in grado di inventarsi meccanismi e strutture con cui, almeno in parte, hanno aggirato alcuni degli ostacoli, riuscendo così a creare una scena alternativa al mercato controllato da pochi colossi. Un modo per superare l’ostacolo dei finanziamenti è l’Autoproduzione: le risorse economiche per realizzare la pellicola vengono di solito recuperate dai guadagni dei precedenti lavori o da risorse personali. Chi non riesce a trovare un finanziatore per il progetto opta per una produzione digitale, meno dispendiosa rispetto ad un film in pellicola.

Conclusa la fase di produzione iniziano i salti mortali per arrivare in sala. La situazione odierna del mercato distributivo lascia pochissimi spazi. Un primo passo per raggiungere il pubblico è quindi la presentazione a festival e rassegne di settore, occasioni importanti per farsi conoscere, confrontarsi con la critica e, magari, incontrare distributori disponibili ad inserire la pellicola nel proprio listino, insomma gli unici spazi di visibilità concessi dal mercato sono le sale d’essai e i cineforum.

L’Autoproduzione per molti rappresenta una svolta, una nuova forma di imprenditoria, un modello pionieristico di piccola azienda, una sorta di nuova bottega che nasce dalle idee di una generazione cresciuta con la musica indie, con la tecnologia, con gli Erasmus, una cultura ricca e variegata, in grado di proporre qualcosa di nuovo laddove il mondo l’ha ignorata. La prima generazione di precari ora ha quarant’anni e si è resa conto di dover provare ad arrangiarsi, soddisfacendo anche la curiosità e la voracità di una sacca di utenti che il vecchio mercato non è più in grado di accontentare.

[Fonte]

 

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